Roberto Saviano parla dell'unità d'Italia

Ecco la trascrizione integrale del discorso sull'unità d'Italia che lo scrittore Roberto Saviano ha fatto in una recente trasmissione televisiva

Here is the complete transcription of a speech on the unity of Italy, the writer Roberto Saviano made recently on tv.


Mi andava di... poter tenere la bandiera italiana in mano... questa, proprio questa qui, questa che tengo, proprio questa, questa è la più.... la prima bandiera italiana, prima ancora che ci cucissero al centro lo scudo sabaudo. E mi piaceva tenerla, perché credo che sia qualcosa di più di un simbolo... tutte le bandiere sono dei simboli e i popoli più o meno ci si riconoscono, è ovvio che sia così; ma mi piaceva, da meridionale soprattutto, ricordare che in realtà questa bandiera è la traccia di un sogno, e non sembri retorico quello che sto dicendo. Cioè, l'Italia unita, nella testa di Mazzini, nelle azioni di Pisacane, nel sogno di centinaia e migliaia di pensatori repubblicani unitaristi, non era semplicemente l'unità di regioni geograficamente vicine, e non è neanche come è capitato per altri paesi - intese di aristocrazie, unità di gruppi di potere: per loro l'unità era l'unica condizione per emancipare il popolo italiano – dopo tre secoli di dominazione straniera – ma di emanciparli dall'ingiustizia. L'unità non può che essere quella strada, non semplicemente qualcosa che ci permette appunto di avere semplicemente una bandiera, ma una bandiera che diventa simbolo della possibilità di emanciparsi, di emanciparci dalla sofferenza, dall'ingiustizia: questo era nella loro, nella loro testa. La grande idiozia che stiamo ascoltando da anni, che spaccare il paese sia un modo per renderlo più forte, è evidente che non solo è un discorso miope, ma insostenibile: se guardiamo la cartina preunitaria, il Regno, per esempio, di Sardegna, Regno Sabaudo, una sorta di cosa piccola, eccolo là, sotto la Francia, la periferia francese sarebbe; il Lombardo-Veneto, cosa sarebbe il Lombardo-Veneto? La periferia austriaca. Lo Stato Pontificio, al centro, uno stato simbolico: si tornerebbe a essere periferia di qualcun altro. La centralità, l'unità del Paese invece aveva un'altra idealità, un altro progetto, quello di dire “decidiamo del nostro destino”. Chi pensa di poterlo spaccare, non fa nient'altro che arretrare, indebolirci, distruggere quello che era stato un grande sogno, il sogno di poter vedere, nell'unione del Friuli alla Calabria, in un unico Paese, un unico sangue, un'unica lingua, la possibilità di disegnare un destino diverso... mi tornano sempre alla mente, per esempio, i martiri calabresi, i cinque martiri di Gerace, cinque ragazzi, il più vecchio aveva 28 anni, vengono fucilati perché sognavano che dal Regno delle Due Sicilie, dal Sud potesse partire l'ideale in grado di unire l'Italia: dal Sud che aveva raggiunto dei primati – la prima ferrovia, le seterie migliori del Mediterraneo – da lì combattere, anche perché c'era stata tutta l'idealità riformista del Settecento : Gaetano Filangeri, Genovesi, Abate Galiani – tutti pensatori meridionali che avevano ispirato i rivoluzionari francesi; non è pensabile credere che la spaccatura di un Paese oggi sia la soluzione. La continuità con quegli ideali risiede per esempio nel pensare ancora che siamo meglio della nostra classe politica, che il Paese ha voglia di essere ridisegnato, che ha voglia di fare, che i talenti vogliono uscire finalmente, smettere di pensare che i più bravi arrivano ultimi, e imparare a poter sognare che i più bravi arriveranno primi. Sognare con l'idealità che fu degli unitaristi, significa, di fronte alla macchina del fango, di fronte alle baggianate quotidiane scritte sui siti che hanno il compito di diffondere a pigri giornalisti le informazioni di gossip: rispondere a tutto questo non ci interessa, rispondere a tutto questo non ci importa – non vi crediamo, e andiamo avanti. L'idea di poter costruire questa Italia significa essere veramente eredi di quello che è stato il pensiero dell'unità italiana e non le balle che racconta, per esempio, la Lega quando chiama il suo centro di ricerche “Cattaneo”: Carlo Cattaneo, pensatore repubblicano e federalista, credeva che il federalismo fosse un federalismo solidale in grado di unire il Paese, non di considerare una parte del paese inutile; l'amministrazione federale, nel pensiero del Cattaneo, non è, come blaterano le camicie verdi, è un pensiero che va a credere che l'Italia una e amministrata in maniera diversa potesse davvero essere il grande sogno italiano, la cerniera tra la cultura mediterranea e la Mitteleuropa, quella che prima o poi torneremo, riusciremo ad essere. Io forse sono un privilegiato, nel senso che sono figlio di un padre napoletano e di una madre di origine ligure, quindi ho il sangue del sud e il sangue del nord: i miei antenati materni sono stati repubblicani e mazziniani; hanno spesso pagato per questo loro ideale, ma mi è arrivata, la tradizione orale della mia famiglia, come una cantilena, il giuramento che i ragazzi facevano quando diventavano membri della Giovine Italia, che facevano i giovani che credevano che l'unità potesse essere l'inizio per costruire un paese libero e diverso, da come invece era nello scacchiere quando l'Italia serviva ad altri e non a se stessa, e mi piacerebbe poterlo recitare, questo giuramento: “Io do il mio nome alla Giovine Italia, associazione di uomini credenti nella stessa fede; giuro, invocando sulla mia testa l'ira di Dio, l'abominio degli uomini e l'infamia dello spergiuro, s'io tradissi, in tutto o in parte, il mio giuramento. Giuro di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse nello spirito della Giovine Italia da chi rappresenta con me l'unione de' miei fratelli, e di conservarne anche a prezzo della vita, inviolati i segreti. Giuro di consacrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l'Italia in nazione una, indipendente, libera e repubblicana”



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